Un "aereo" anello sulle montagne del Velino

Dai Piani di Pezza per la Costa Cerasole e Costa della Cerasa, un giardino con vista; giro in cresta intorno alla val Genzana, discesa al Vado di Castellaneta e poi su per Cima di Capo di Pezza. La dorsale di Costa Stellata con affaccio sulle due maestose e diverse valli, Genzana, alta e ampia, Majelama profonda, incassata e potente. Rientriamo attraversando la val Genzana e per un tratto sulla Costa dei Vecchi. Unica digressione al percorso programmato, una discesa in un fosso senza nome e infrattatissimo. Un anello da 10 e lode!

Le montagne del Velino non finiscono mai di stupire!


Ad una settimana dall’insolito itinerario che ci ha portato sullo Iaccio dei Montoni e sul Murolungo decidiamo di tornare sulle montagne del Velino, da quelle della Duchessa a quelle della Magnola e dintorni, anzi meglio dire dei Piani di Pezza e dintorni. Il progetto è leggermente ambizioso per il nostro stato di forma, temiamo il caldo ma le poche tappe di preparazione all’impegnativa settimana dolomitica ci impongono di uscire comunque; saremo soli, il tempo sarà quindi solo nostro, come il passo ed il ritmo che sosterremo. Ci liberiamo da ogni sorta di vincolo, qualche panino in più, una buona scorta di acqua e abbiamo tempo fin tanto che ci sarà luce. La scusa di un 2000 che manca a Marina nella classifica dell’omonimo club mi ha dato l’obiettivo da raggiungere quella “quasi anonima” Costa Stellata diverse volte sfiorata ma mai toccata insieme, si trova al centro quasi esatto delle montagne del Velino. Breve cresta molto panoramica scorre a fianco della più bella valle di queste montagne, la Majelama, l’ho definita quasi “anonima” perché ci vai solo se ci vuoi andare, non è di passaggio e per questo non è molto frequentata; sarà il motivo per cui in vetta manca la solita pietra scritta a pennarello con nome e quota della montagna? I percorsi per arrivarci sono sempre lunghi e sono vari, io ho scelto quello forse più panoramico, più “alto”, una serie di dorsali e creste ariose, sulla carta e nella mia testa, se ci dirà bene, sarà una escursione “aerea” molto suggestiva e di soddisfazione. Ve la racconto a modo mio, come sempre. Punto di partenza i Piani di Pezza, alla faccia del caldo che temevamo ci accoglie un cielo grigio e basso ed una leggera pioggia, in auto ci inoltriamo sulla carrareccia in direzione Costa dei Vecchi; nel lungo rettilineo, più o meno nel mezzo, prima di arrivare al curvone in fondo prospicente il vallone del Ceraso parcheggiamo, ci tocca indossare il guscio da subito perché la pioggia nel frattempo non è più così leggera; alle 8,35 di questa strana mattinata iniziamo a traversare il piano in direzione della prospicente Costa Cerasole dove ha inizio la nostra salita. Da subito, già nell’attraversamento della piana faccio fatica a mantenere il passo di Marina, la luce è ancora poca e sbagliata ma le fioriture sono già tante, impossibile non fermarsi ogni tanto per compiere il sacrosanto dovere dell’appassionato fotografo. Il sentiero che sale a Costa Cerasole era già di facile lettura da lontano, evidente e comunque per linee logiche saliva gradualmente fino a sparire nel bosco; Costa Cerasole l’avevamo percorsa in discesa lo scorso autunno, gioiello della natura rivelatosi a noi per una scelta casuale dell’ultimo momento e da subito entrata nelle nostre vibrazioni. Abbandonati i prati della piana si prende a salire in leggera pendenza tra sparuti stupendi faggi e attraverso pratoni di bassi ginepri; rocce sporgenti regalano giardini rocciosi di naturale bellezza e ad arricchire il quadro è il verde sfavillante dei faggi ancora di fresca vegetazione e le tante montagne che accerchiano il catino dei Piani di Pezza che velocemente va rimanendo in basso. Un sentierino sempre ben marcato prende a costeggiare il bosco, poi ci entra dentro e ne esce diverse volte, qualche tornante, le prime rocce ed usciamo sulla dorsale intorno quota 1750 mt, la prima ora della camminata di oggi la mettiamo alle spalle, sono le 9,40. Ci accoglie una brezza tesa e fresca che è una meraviglia, la prendiamo come un segno bene augurante, se continuasse per tutta la giornata ci sarebbe di non poco aiuto. Da subito “siamo in alto”, sarà la costante di quasi tutta l’escursione; il primo affaccio è verso Ovest sulla lunga cresta parallela, va dai 2220 mt del costone della Magnola, passando per la famosa cima 2172 mt senza nome, fino ai 2119 mt della costa della Cerasa ed oltre, nel mezzo pareti ripide, selle e i ghiaioni, costante comune sulle montagne del Velino. Ma andiamo per gradi, prendiamo ad allungarci sul giardino con vista della Costa Cerasole, vero piccolo gioiello naturalistico e paesaggistico, due chilometri di verde dorsale tra bassi cespugli di ginepri, fitti boschetti di faggi e prati rocciosi dove le fioriture sono una attrattiva costante; a destra i Piani di Pezza e la dorsale sulla sponda opposta che da punta dell’Azzocchio sale fino al Rotondo e come già detto a sinistra le creste rocciose del Magnola e della Cerasa. Senza strappi sale fino a quota 1949 dove termina, da lì il sentiero esce allo scoperto, vira verso Ovest, aggira la testata di una diramazione del vallone del Ceraso e si raccorda col sentiero 10A che sale dai piani del Ceraso e che continua per il vado di Roscia Grande; non lo prendiamo, preferiamo accorciare e salire diretti sullo spigolo “pratoso” poco marcato ma ripido che porta direttamente in vetta a Cima della Cerasa. Sullo spigolo fioriture di Gigli Sambucini, a dire il vero ormai in fase di sfioritura, ci accompagnano fino in vetta. Il più classico dei panorami sul Velino da quassù, intorno solo quote “over 2000”, inutile nominarle tutte tante sono, sotto la vastissima val Genzana che dovevamo aggirare per raggiungere la nostra meta, Costa Stellata è la di fronte, oltre la valle, da qui in poi rimarremo sopra quota 2000 per molto tempo. Riprendiamo il cammino sullo spigolo di cresta, sopra e intorno la val Genzana, ghiaioni precipitano sui Piani di Pezza fino a lambire il bosco, imponente la costa di Cima della Tavola che taglia verticale i pratoni che danno sulla val Genzana, scendiamo una sella e risaliamo in vetta da dove si riesce, nonostante la foschia, a distinguere il rifugio Sebastiani, dietro la sella dove sorge il rifugio si impone la bella sagoma del Costone, il muro che chiude la valle del Puzzillo. Riprendiamo a scendere sulla lunga e diritta dorsale che chiude la val Genzana fino alla sella del Vado di Castellaneta, autentico crocevia di sentieri, dove invece di tagliare la costa verso il nostro obiettivo Marina decide di salire interamente lo spigolo fino alla Cima di Capo di Pezza, uno spigolo affatto complicato ma molto ripido, niente di che ma tutte le volte lo ricordo come una spina nel fianco, sicuramente una mia personalissima antipatia. Raggiungiamo la vetta, di fonte a noi la rocciosa facciata della Cimata di Fossa Cavalli che sovrastata il profondo solco della valle Majelama, autentico monumento della natura; il Cafornia e il Velino a sovrastare ulteriormente tutto con la loro austera mole e con quel senso di ruvido ed inospitale che sempre comunicano; e poi intorno il Magnola, il Sirente, le cime Trento e Trieste, bisognerebbe fare uno studio, se questa vetta non è il centro esatto di questo gruppo montuoso poco ci manca. Ci si sente lontani da tutto, non è un senso di isolamento quello che si prova da quassù, è la consapevolezza che da dove la prendi la prendi, per scendere a valle di strada ne devi fare ancora tanta. Tutto estremamente bello. Belle le emozioni, belle le viste, belle le tante sensazioni che si provano ad essere soli in mezzo a questo mare di natura imponente, ci si sente piccoli ma a casa, comunque in un posto familiare. Rimane poco per raggiungere il nostro obiettivo, verso Sud, sulla dorsale che continua quasi piatta dopo una lunga poco profonda sella, si distinguono due piccole prominenze, la seconda e la vetta di Costa Stellata; scendendo dal Capo di Pezza devo attraversare un prato così pieno di Gigli Sambucini, a tutti gli effetti delle orchidee, che è difficile non calpestarli, rosso porpora e gialli, vista la maggiore altezza sono meno sfioriti di quelli incontrati fino ad ora, non posso non fermarmi per cercare di catturare qualche immagine suggestiva. Marina nel frattempo è arrivata a metà della piccola dorsale, quasi ormai in vista della sua 168esima vetta over 2000 (non gliene frega niente ma tengo io il conto per lei); un po’ perché la dorsale è corta, un po’ perché iniziamo a sentire nelle gambe i km percorsi ma soprattutto perché l’affaccio sulla sottostante Majelama è dirompente procediamo ciondolando, ogni due passi siamo fermi a guardare l’enormità di quella spaccatura, la ruvida verticalità della Cimata di Fossa Cavalli che gli sale accanto, l’enorme rotondità che sale verso il Sentinella e il Magnola. Siamo nel mezzo, tra la val Genzana, profilo ampio e alta di quota, e la Majelama molto più bassa di quota ma soprattutto sinuosa, stretta e profonda, la natura in questo angolo espone i suoi opposti, ha una forza dirompente come l’impatto emotivo che restituisce; non capita tutti i giorni trovarsi davanti gli Appennini così “forti e duri”, forse solo la Majella è in grado di restituire situazioni più potenti e vaste. Siamo in vetta alla Costa Stellata, sono le 13,30, sono passate 5 ore da quando siamo partiti, sembrano cinque minuti tanti sono stati i motivi per distrarsi, per farsi interessare da qualcosa di sempre diverso, frequentissimi i cambi di ambiente, sempre diversi gli orizzonti, tante e svariate le fioriture, la leggerezza della salita sempre alternata a lunghi tratti blandi per riprendere fiato. Raggiunto il nostro obiettivo non ci tocca altro che il ritorno, non metteremo un solo piede su un tratto di sentiero già toccato; pensavo di raggiungere la fine della dorsale di Costa Stellata ed intercettare una traccia che riportasse dentro val Genzana ma il profilo del versante meno ripido di quello che pensavo mi e ci ha fatto cambiare idea, perderemo un po’ della suggestione del tratto terminale della cresta della Costa Stellata che ma di certo accorceremo il percorso e risparmieremo in dislivello da salire. Torniamo così indietro un centinaio di metri dalla vetta, forse anche meno e ci buttiamo di traverso sul versante che dà sulla val Genzana, senza problemi raggiungiamo le rocce più in basso e davanti dopo un lungo pratone, quello che basta per superare i tratti più ripidi e ghiaiosi di questo versante, intercettiamo una traccia che arriva dal Vado di Castellaneta e riprendiamo verso Sud abbassandoci lentamente su una specie di piano parallelo alla valle principale. La val Genzana osservata dall’alto, distrattamente e sovrastati dall’enormità dell’ambiente, appare come un grande catino, un ambiente unico contenuto dalla alte dorsali delle coste della Cerasa e Stellata ma una volta dentro, scendendo come abbiamo fatto direttamente dalla Costa Stellata, ci si accorge che gli ambienti sono diversi; la parte alta della valle è stretta, tende a piegare verso il costone della Cerasa, alture discontinue si alzano invece gradualmente verso la Costa Stellata creando quasi altre montagne dentro le montagne ed un piccolo “altipiano” sopra la valle principale. Quando abbiamo preso ad attraversarla abbiamo avuto la sensazione di non riuscire mai a farlo, eravamo sempre sopra qualcosa, c’erano sempre altre dorsali, elevazioni rocciose da scendere. Su è giù per piccoli avvallamenti ci siamo tenuti alti sopra lo stazzo di fondo valle, sopra il laghetto recintato ancora bello colmo d’acqua; seguendo le curve di livello abbiamo cercato di ottimizzare i sali e scendi e di intercettare il lungo e ben visibile sentiero che sale verso il Valico di Roscia Grande e verso il Magnola, una volta preso è bastato seguirlo nella sua piacevole pendenza fino alla sella successiva a quella del Vado di Roscia Grande, da dove parte il sentiero n°10 che ci riporterà a valle attraverso la Costa dei Vecchi. A dimostrazione della vastità della val Genzana è il tempo che abbiamo impiegato ad attraversarla, 1 ora 20 minuti dalla cima di Costa Stellata al valico dove iniziamo a scendere verso i Piani di Pezza, il valico qualche centinaio di metri a destra (a Sud) del Vado di Roscia grande; forse è l’ambiente dove è inserita, le lunghe dorsali costantemente sopra i 2000 mt che la contengono, forse sono le proporzioni che si perdono ma l’ambiente è veramente vasto, affatto pianeggiante, se non nella parte bassa, insomma da non prendere sottogamba nella valutazione dei tempi di percorrenza. Inizia la discesa del rientro, sono quasi le tre del pomeriggio, già con vista sui Piani di Pezza, il primo tratto, il traverso che scende dalla sella verso la Costa dei Vecchi è breccioso e scivoloso, occorre fare attenzione a non finire col sedere per terra, la traccia del sentiero n°10 è intuibile già da lontano, si dipana tra vallette e piccole rotondità, più in basso pietre e omini “bandierati” di fresco non lasciano dubbi. Per un po’ saliamo piccoli cocuzzoli, si attraversano piccole valli all’ombra del costone del Magnola, l’orografia della Costa dei Vecchi, una tonda dorsale che piega lentamente verso Nord-Est con i Piani di Pezza a vista, disegnano con chiarezza la direzione, il sentiero marcato e i segnavia puntuali e nuovi fanno il resto e quasi rendono il completamento dell’anello scontato e monotono eppure … eppure siamo stati capaci di sbagliare la via del rientro. Sbagliando c’è andata bene perché abbiamo scongiurato un momento di monotonia, perché abbiamo accorciato i chilometri ed il dislivello che rimanevano e soprattutto perché abbiamo attraversato un ambiente davvero “infrattato”. E’ andata così: bel belli sul sentiero, passiamo accanto ad un omino con tanto di bandierina bianco rossa dipinta certamente pochi giorni prima tanto era lucida, il sentiero marcato oltrepassa una sella trenta metri oltre l’omino, col senno del poi credo che avremmo dovuto continuare sulla dorsale ma ci siamo lasciati distrarre da una evidentissima traccia, brecciata, un vero e proprio largo sentiero che scendeva dentro altre piccole valli dalla parte opposta; i Piani di Pezza sono sempre là davanti a vista che quasi chiamano e certamente un po’ aiutano ad ingannarsi. Raggiunte le vallette secondarie il sentiero si perde nei prati, rimane una flebile traccia di calpestio tra erba e ginepri che prendiamo a seguire e che si va infilando tra piccole collinette sotto il fianco ghiaioso della Costa dei Vecchi. Inevitabile realizzare che qualcosa era andato storto ma ci riluttava l’idea di risalire quanto sceso, mi sono affacciato su un’altra sella alla fine di un pianoro, l’orizzonte oltre dava sulla familiare ma lontana Costa Cerasole e ancora sui Piani di Pezza, almeno questo rinfrancava; uno stretto sassoso vallone scendeva abbastanza ripido verso il bosco sottostante, scendeva di colpo un centinaio di metri, superato uno spigolo i Piani di Pezza, ora parzialmente coperti dalla vegetazione, ritornavano a far parte dell’orizzonte. Il vallone si inoltrava nel bosco, era palese che si andasse ad incastrare tra le coste scoscese delle montagne intorno, era ora di prendere una decisione definitiva, se continuare a scendere ed andare un po’ all’avventura o se risalire. Eravamo trecento metri sopra la piana del Ceraso, nemmeno troppi, le pareti delle montagne che scendevano intorno erano boscose, per quanto il vallone si fosse incastrato ed infossato erano poche le possibilità di trovare dei salti insuperabili; Marina non avvezza a questi fuori sentiero avventurosi non ha faticato a farsi convincere, evidentemente nel calcolo dei pro e contro, la salita da rifare ha avuto ragione del casino dove ci saremmo cacciati ed abbiamo ripreso a scendere. I primi cento metri di dislivello sono stati facili, tratti di bosco con poca pendenza alternati a radure chi andavano stingendo, la comparsa di rocce sulla destra ed il pendio boscoso ripido sulla sinistra annunciavano però la formazione di un fosso più profondo da lì a poco, dopo una svolta intorno alle rocce ci eravamo dentro. Stretto, tondo e rettilineo, incassato e buio, un fosso di una ventina di metri, un tunnel tra gli alberi ricoperto di fogliame, sembrava uno scenario costruito in uno studio di registrazione di un film, è stato come entrare in un mondo diverso, poi sono iniziati i giochi veri, molte strettoie, qualche saltino mai complicato, spesso si sono resi utili i rami e le rocce intorno per aggrapparsi, qualche tratto scivoloso, molti gli alberi di traverso caduti che abbiamo dovuto superare, insomma più scendevamo e più ci andavamo infrattando, ma ci abbassavamo anche e sempre di più venivano scongiurate maggiori difficoltà. Ovviamente l’orizzonte ci era vietato dal tetto del bosco, solo un momento ho intravisto uno sperone che mi era familiare e che se non ricordavo male sporgeva sopra il vallone del Ceraso, in quel momento ho intuito che inevitabilmente saremmo confluiti sul sentiero 10A che e che avevamo già percorso in salita lo scorso anno. Trentacinque minuti dura questa sorta di avventura, tanto ci abbiamo messo a percorrere il budello, forse troppi per Marina che non ama queste digressioni, affascinanti per me che ogni tanto amo improvvisare; intercettiamo il sentiero 10A qualche centinaio di metri prima di uscire dal bosco nel vallone del Ceraso. Rimaneva solo da attraversare la piana fino alla macchina, altri 25 minuti rilassati, senza una traccia, a scegliere la direzione migliore e a farsi distrarre dalle ultime fioriture che non avevo ancora fotografato, l’ultimo regalo, proprio poco prima di arrivare alla macchina un bell’esemplare di Orchidea bruciacchiata che fino ad oggi non avevo mai avuto la fortuna di incontrare. Che dire di questa giornata prevalentemente aerea e panoramicissima, i numeri sono aridi, 8 ore per coprire circa 18/19 chilometri e superare un dislivello di 1200mt, se mi litassi a questo sarebbe solo una statistica per i collezionisti di “fantomatiche imprese”, invece va sottolineato la magnificenza del percorso di oggi, bellissimo sotto tutti i punti di vista, di una leggerezza unica, si passa continuamente attraverso ambienti diversi, i panorami si allargano e variano di continuo, basse o alte, brevi o lunghe si rimane prevalentemente sulle aeree dorsali, si cammina e non ci si stanca, distratti forse, come accade ai bambini, da momenti e situazioni sempre diverse. Preziosa oggi è stata la costante fresca brezza che ha sempre spirato e che non ci ha mai fatto sentire caldo, ovviamente questa è una variabile che non può essere assicurata da nessuno, ma il resto sarà lì sempre e per chiunque ne voglia vivere la sublime bellezza.